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Lug 26, 2024

Il nostro bisogno dei bambini

Di Cristian Nani, direttore di Porte Aperte in Italia

“Fare pace con i propri limiti” è un’espressione diffusa: significa accettarli e quindi accettarsi per quelli che siamo. Tuttavia, ha dei potenziali lati oscuri se ci condanna a ciò che siamo, ossia all’immobilismo fatalista. Quando la Genesi afferma che l’uomo lascerà padre e madre per diventare una cosa sola con la donna (2:24), tra i molti insegnamenti ci dirige anche verso la scelta di diventare padri e madri di altri: non più figli che chiedono, ma genitori che danno. Spiritualmente è un passo cruciale nella vita del cristiano (e non); e che si sia inceppato nella vita di molti, è davanti ai nostri occhi, dentro e fuori le chiese. Tanti figli, tante pecore, tanti cuccioli; pochi padri, pochi pastori, pochi adulti.  

Per un figlio la vita è esperienza (o experience, direbbero i più giovani).  

Per un genitore la vita è responsabilità (o senso del dovere direbbero i più anziani).  

L’esperienza è vitale per scoprire il mondo. La responsabilità è essenziale per costruirlo.  

In questo trapasso spesso scaviamo un abisso tra il nostro essere figli e il nostro essere padri: è il percorso naturale dell’emancipazione, del sacrificio per un bene futuro, in due parole dell’età adulta. Tuttavia, la Bibbia ci stimola a diventare padri e madri di qualcuno (in chiesa oltre che in famiglia!) non a scapito dell’essere figli, poiché noi rimaniamo figli. Non è genitori o figli. È genitori e figli.  

Nel duro esercizio della vita adulta ci è richiesto sacrificio, impegno, sofferenza e questo ci induce a costruire una indipendenza o, se par meglio, una soluzione alla dipendenza dell’essere figli: non posso più chiedere cibo, me lo devo procurare; non posso più vivere alla giornata, devo progettare il futuro; non posso più pensare solo a me stesso, devo pensare agli altri. E’ sano.  

Tuttavia, quando il figlio di Dio ci invita ad assomigliare ai bambini, allude anche al recuperare la coscienza di essere figli e non c’è nulla di più utile per un adulto di passare in rassegna i propri limiti per ricordarsi di essere anche figlio, di essere pur sempre dipendente. Per farsi Emmanuele, Gesù si spogliò della Sua maestà e si rivestì dei nostri limiti e, a guardarlo muoversi su questa terra, appare chiaro che i Suoi “limiti” fossero occasioni di relazione con il Padre, occasioni di essere Figlio. Allora la fame serviva a chiedere al Padre il pane quotidiano. Le opposizioni erano il momento dell’abbandono alla Sua provvidenza. Il dolore era il momento della ricerca della Sua presenza. Un bimbo quando ha fame chiede al padre/madre, quando non sa che fare si abbandona tra le sue braccia e quando soffre cerca la sua presenza. È l’arte innata della dipendenza. Come adulto, a volte la dimentico. Dimentico che non pongo io le condizioni di partenza della vita, le cose non scorrono sempre secondo i miei piani, la realtà non mi obbedisce, perché di fatto noi entriamo sempre in corsa, a partita iniziata. Di questa basilare lezione i bambini sono insegnanti naturali.  

Non a caso nella prima parte della nostra vita spirituale in genere cerchiamo di migliorare, di “fare i bravi”, mentre nella parte adulta della nostra vita spirituale cerchiamo di aggrapparci a Dio, non abbiamo quasi più bisogno di essere bravi, perché siamo passati dal non voler “cadere” al non voler più stare distanti dal Padre, che è un po’ come tornare bambini.  

I bambini hanno bisogno di noi. Noi abbiamo bisogno dei bambini.  

La persecuzione distrugge questo circolo virtuoso, creando un esercito di orfani.  

Soccorrerli è biblico, ma è anche un bisogno, loro e nostro.